Concausa


Slaughterhouse
24 aprile 2010, 11:45
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Il mattatoio di Tommaso Ausili. «Nel 2000 lavoravo in uno studio legale…»



Gli studi dolorosi di George Rodger
19 settembre 2009, 22:20
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Campo di concentramento di Bergen-Belsen, 1945

Campo di concentramento di Bergen-Belsen, 1945

“Al pari di tanti fotografi Magnum, tuttavia, Rodger si approssimava ai soggetti mantenendo una rispettosa distanza. (…) si lasciava coinvolgere dalla storia, dalle differenze, e con la fotocamera registrò la complessità implicita di ogni evento, in ogni istante. (…) Come nelle foto dei bombardamenti su Londra e, in maniera ancora più evidente, in quelle del campo di concentramento di Bergen-Belsen, scattate subito dopo la liberazione, Rodger rivela una prospettiva discreta e diffidente. Non sfrutta mai ciò che vede, né lo riduce alla componente sensazionale. Insieme alle foto scattate nei campi di concentramento da Margaret Bourke-White e Lee Miller, le immagini di Rodger sono studi dolorosi e difficili sulla sofferenza e il male su vasta scala, mostrano la foto documentaria ai limiti dei suoi parametri espressivi.”

Il resto qui, nel testo di Clarke.

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Rispolveriamo qualche articolo…

Dentro il mondo della Magnum
, Irene Bignardi su Repubblica; in Morto a 87 anni George Rodger: fondo’ la grande agenzia, pubblicato su La Stampa, Fabio Galvano ricorda che Rodger disse “Quando scoprii che potevo guardare l’orrore dei quattromila cadaveri viventi attorno a me e che l’unica cosa a cui pensavo era una buona inquadratura, capii che mi era successo qualcosa, e che era ora di finirla”.
Nel 1970 scrisse a suo figlio “Ricordalo. Ogni cosa che vedi guardando in basso, sulla lastra di vetro della tua Rolleiflex è la realtà – le cose come sono. La fotografia è ciò che tu deciderai di farne di tutto questo.”



Les Adieux
15 settembre 2009, 22:50
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“Le mie sono fotografie che potrebbero fare tutti. Io sono un uomo qualunque che va in giro e fissa il riflesso dello spettacolo della strada”.
Willy Ronis


Ronis, la fotografia come un romanzo
, su LaStampa;
Willy Ronis, photographe, su LeMonde;
«L’émotion de ma vie, c’est la photo de la péniche aux enfants», su Liberation.



Back from Kyrgyzstan
11 settembre 2009, 16:07
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I was last week in Kyrgyzstan for a BBC - Lonely Planet assignment. The country is famous for its mountains and his nomads, but in the towns, life is different. This student on the pic went out of the university in Bishkek and was going to buy some bread. Last but important thing: Kyrgyz people are muslim.  © Eric Lafforgue

I was last week in Kyrgyzstan for a BBC - Lonely Planet assignment. The country is famous for its mountains and his nomads, but in the towns, life is different. This student on the pic went out of the university in Bishkek and was going to buy some bread. Last but important thing: Kyrgyz people are muslim. © Eric Lafforgue

Eric Lafforgue è un grande fotografo freelance francese (vive a Tolosa) che lavora per numerose testate giornalistiche.
E’ spesso in giro, ma a volte torna. Ora è appena rientrato dal Kyrgyzstan
Qui la sua galleria su Flickr, qui il suo sito e qui il link per scaricare l’applicazione gratuita per avere le sue foto sull’I-Phone.



Muri di sostegno agli stati limite
30 Maggio 2009, 15:07
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follia

Firenze, via Guelfa. Un quarto alle tre.



Metadocumentazione
9 marzo 2009, 01:44
Filed under: Fotografia, Germania | Tag: , ,
© Philipp Guelland/DDP - Einsturz des Kölner Stadtarchivs

© Philipp Guelland/DDP - Einsturz des Kölner Stadtarchivs

La foto è tratta dal sito di Stern.
E’ di Philipp Guelland, fotogiornalista classe 1981. Qui il suo sito.
Nella cassa un po’ di quello che resta dell’archivio cittadino di Colonia.



Una furiosa affermazione di identità
4 marzo 2009, 17:11
Filed under: Europa, Fotografia, Spagna | Tag: , , ,
Hulton-Deutsch Collection (via todoslosrostros.blogspot.com)

Hulton-Deutsch Collection (via todoslosrostros.blogspot.com)

“(…) Trovare una faccia conosciuta fra la folla dei francesi che ogni settimana si mettevano il vestito della domenica e si avvicinavano per godersi lo spettacolo dei rossi in gabbia, non era stato per niente facile, soprattutto perché quel giorno c’erano i fotografi stranieri, quasi tutti statunitensi, che salivano su certe scale per fotografarli dall’alto, un’immagine che doveva essere molto apprezzata nelle redazioni dei quotidiani e delle riviste dell’Occidente, visto che le visite non diminuivano col passare del tempo.
L’Occidente per loro non aveva fatto che questo, fotografie. Molte, moltissime, album e album di fotografie, ritratti individuali e in gruppo di spagnoli in gabbia, come scimmie allo zoo. Gli uomini di Barcarès detestavano i loro autori, eppure li accontentavano con una docilità puntuale, solo apparente. Avrebbero preferito non dover posare per nessuno, ma dal momento che non potevano eliminarli, quando qualcuno si accorgeva che una macchina era pronta per scattare, gridava: foto!, e allora tutti si alzavano, si raddrizzavano, alzavano il pugno e il mento nella stessa direzione. Dal di fuori poteva sembrare un gesto rabbioso e inutile, ma per loro era diverso, era una furiosa affermazione di identità, di volontà, gli permetteva di gridare al mondo che erano ancora vivi, che sapevano ancora dire di no, che non avevano smesso di essere quello che erano, nel bene, nel male, nel peggio.”
Almudena Grandes, Cuore di ghiaccio, Guanda, 2008, p. 470.

Nel marzo 1939, mentre i franchisti entravano a Madrid, Robert Capa visitò il campo francese di Argelès-sur-Mer e lo descrisse come “l’inferno sulla sabbia” (qui Heart of Spain per MagnumPhotos).
Nel settantesimo anniversario dell’apertura del campo, TV3 sta girando sulla spiaggia di Argelès un documentario (qui alcune foto del backstage). Qui altre foto del campo di Barcarès. Segnaliamo, inoltre, La Retirada su wikipedia e il saggio di Pietro Ramella; Volontari antifascisti toscani nella guerra civile spagnola, progetto dell’Istituto storico grossetano della resistenza e dell’età contemporanea, e il sito dell’Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.



FINE DELLE VERIFICHE
2 marzo 2009, 21:17
Filed under: Fotografia | Tag: ,

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Trentasei anni fa moriva il fotografo Ugo Mulas.

” (…) Sognata per lunghi anni dai suoi inventori come portatrice di verità, e quindi come liberazione per l’uomo dalla responsabilità di rappresentazione della stessa, in breve si trasforma nel suo contrario; proprio per la fiducia che chiunque ripone nella sua oggettività, nella sua meccanica imparzialità, la fotografia si presta a fare da supporto alle operazioni più ambigue. La fotografia non diede all’uomo la certezza di rappresentare fedelmente se stesso e il mondo, come forse sognavano Niepce e Fox Talbot, ma finì in parte col favorire una élite, quella dei pittori, che scaricarono sui fotografi le operazioni servili, o quasi, che fino a quel punto rappresentavano uno degli aspetti più costanti, ma più frustranti, del loro mestiere. Anzi i peggiori fra essi si improvvisano fotografi e spesso con successo, perché il nuovo mezzo è più congeniale ai loro interessi e alle loro doti naturali, mentre altri usano la fotografia come modello per la loro pittura, e può capitare che, di questa, vedi Hill, non rimanga poi traccia alcuna, mentre a parlare del loro valore restano proprio le fotografie.
Oggi la fotografia con i suoi derivati, televisione e cinema, è dappertutto in ogni momento. Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre più con gli occhi degli altri. Potrebbe anche essere un vantaggio; migliaia di occhi invece di due, ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi, seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione. Anche inconsapevolmente, le migliaia di occhi sono collegate a pochi cervelli, a precisi interessi, a un solo potere. Così, inconsapevolmente, anche i nostri occhi, anziché trasmetterci informazioni genuine, magari povere, scarne, ma autentiche, ci investono con infinite informazioni visive, doppiamente stordenti, perché spesso la loro falsità si cela sotto una sorta di splendore. Si finisce col rinunciare alla propria visione che ci pare così povera rispetto a quella elaborata da migliaia di specialisti della comunicazione visiva; e a poco a poco il mondo non è più cielo, terra, fuoco, acqua: è carta stampata, fantasmi evocati da macchine sempre più perfette e suadenti (…)”.

Ugo Mulas via Historicus
www.ugomulas.org

La galleria della mostra “Ugo Mulas, la scena dell’arte” e i suoi libri qui, sul sito di Iflibri (libreria on line specializzata in fotografia).



In Pakistan
5 febbraio 2009, 08:00
Filed under: Asia, Fotografia, Poesia | Tag: , ,
AP Photo/Emilio Morenatti

AP Photo/Emilio Morenatti

A chi non ha niente e se ne accontenta
viene tolto anche quel nulla che ha.
Però la spinta verso tutto quello che non c’è
non finisce mai.
Perché la mancanza di ciò che sogniamo
fa più male
non meno.

Ernst Bloch
(via akatalepsia)

La foto è dello spagnolo Emilio Morenatti e l’ha pubblicata, qui, spiegel.de. Avrete sentito sicuramente parlare di lui in occasione del suo rapimento (e rilascio) a Gaza nel 2006.



Gaza-Streifen, la distruzione secondo Stevens
26 gennaio 2009, 20:41
Filed under: Fotografia, Medio Oriente e Nord Africa | Tag: , ,

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Stern.de, qui, ha pubblicato un reportage che il fotogiornalista belga Bruno Stevens ha realizzato nella striscia di Gaza dopo il cessate il fuoco.

Altri reportage di Stevens qui su pa.photoshelter.com e un’intervista, qui, sul numero 10 di viewmag.be.